Ponte Romano – Foto di Emiliano Sabatini – Comuni-Italiani.it Mazzano Romano.
Mazzano Romano sorge su uno sperone di tufo a picco sulla valle, in una posizione facilmente difendibile. Sotto scorre il fiume Treia. E’ la rupe vulcaniche e i suoi degradi a decidere l’andamento strutturale e urbanistico del borgo medievale. Tutto intorno verdi colline e pareti delle strettissime valli tagliate e a picco sul fiume.
La valle del fiume Treja fu abitata già da epoche antichissime. Le prime presenze risalgono all’età del bronzo, circa 1400 anni a.C. La storia di Mazzano inizia con gli antichi insediamenti falisci. Della loro presenza rimangono diverse necropoli, che hanno restituito importanti reperti. Probabilmente il nome deriva da Matius, il nome di una famiglia romana che abitava nella zona. Durante tutto il medioevo e fino al rinascimento diventa un punto di un certo rilievo nella rete delle vie di pellegrinaggio.
Oggi, passeggiando nel borgo, non è difficile intravedere diversi elementi architettonici decorativi che ci raccontano un passato importante, in cui il borgo era caratterizzato da edifici anche di rilievo.
Al borgo si accede da un arco d’ingresso a volta inglobato nel palazzo baronale dei Biscia, sul fronte del quale campeggia lo stemma gentilizio della famiglia. La cinta muraria fortificata risale alla più recente fase di difesa (XVII° sec). Essa racchiude costruzioni di epoche diverse: elementi architettonici in peperino scolpito distinguono l’edilizia del tardo medioevo, mentre diverse case sono caratterizzate da iscrizioni rinascimentali, all’interno una via ad anello percorre il castello attraverso un’irregolare massa di case tagliate da strade strette e tortuose sulle quali s’impone l’antico palazzo baronale di Everso e Dolce degli Anguillara (sec. XV°). Nella parte più elevata dell’abitato si trova la piazza dell’Antisà (innanzi ai santi), dove si ergono gli affascinanti resti dell’antica chiesa di San Nicola, costruita nel XVI° secolo su disegno di Jacopo Barozzi da Vignola e demolita nel 1940 perché pericolante.
La ricchezza e bellezza naturale del territorio di Mazzano Romano è protetta grazie all’istituzione del parco Valle del Treja. Il paesaggio è caratterizzato da folti boschi di pioppi, olmi e salici, e dal particolarissimo corso del fiume Treja, le cui acque solcano le tagliate tufacee generando cataratte e cascate, la più nota delle quali è quella di Monte Gelato.
Su tutto rimane un’aria immota che trasmette calma e serenità. Lo scalpiccio dei passi risuona tra i vicoli, in basso nella valle le acque scorrono sempre uguali da secoli, tutto intorno il cielo è terso e l’aria frizzante. Non sempre appare così evidente che sia passato più di un millennio da quando questo posto è stato abitato.

L’insediamento più antico presente nel nostro territorio è stato rinvenuto ai piedi di Narce e risale al XIV sec. A. C. Successivamente a partire dal IX sec. fu trasferito sulla sommità della collina, che è difesa da alte pareti verticali. Da lì, per mezzo di un imponente viadotto, l’insediamento si estese, nel VII sec., nella vicina collina di Monte Li Santi. In seguito l’abitato occupò anche la collina di Pizzo Piede dove sono più evidenti le tracce di un impianto urbanistico, difeso da una cinta muraria.
La grande estensione delle numerose necropoli (dal IX-VIII sec. fino al IV-III sec. A.C.) della Petrina, Pizzo Piede, Monte Cerreto, Monte Li Santi, Monte lo Greco, Morgi, ecc. fanno ritenere che questa importante città controllasse la parte meridionale dell’Agro Falisco. Gli studiosi ormai la identificano con l’antica Fescennium, ricordata dagli storici più tardi per i “versi fescennini” e per speciali salumi. Era al centro di una fitta rete di scambi commerciali e da essa dipendevano borghi fortificati di dimensioni minori, come dovevano essere Mazzano e Calcata e vari insediamenti rurali.
Dopo l’occupazione romana del 241 A.C., quasi tutte le attività nella zona decaddero e rimasero in funzione solo un tempio in località le Rote e una piccola fabbrica di tegole, mentre un insediamento romano si formava presso il fosso Stramazzo (bivio di Montegelato), lungo la strada per Nepi. Le prime ville risalgono al I sec. D.C. e la più importante, che è stata studiata, è quella di Montegelato. Era di Gaio Valerio Fausto, un mercante di buoi e capo degli ufficiali addetti al culto di Augusto a Veio. Agli inizi del IV sec. D.C., appartenevano alla chiesa di S. Croce in Gerusalemme i fondi Anglesis (Agnese) e Terega (Treia). A giudicare dalle entrate di CL e CLX solidi dovevano avere un’estensione di terra coltivabile di 56 e 60 ettari. Intanto la villa di Montegelato – il fondo Terega – si era trasformato in un piccolo villaggio rurale. Secondo una tradizione orale, Cata Galla, la figlia di Simmaco, patrizio e console dei romani fatto giustiziare insieme a Boezio nel 522 da Teodorico, re dei Goti, vi fece costruire la chiesa in onore Sancti Iohanni Baptistae iusta …Tarega.
Nel 750 il fondo Antico – oggi S. Maria di Castelvecchio – abitato e coltivato, apparteneva in parte al dux Eustazio che lo donò alla diaconia di S. Maria in Cosmedin del quale era amministratore. Nello stesso periodo, sull’antica villa del fondo appartenente alla famiglia Matius si andava formando un altro piccolo villaggio rurale. In seguito quel villaggio si sarebbe chiamato Mazzano e, a partire dal quale, furono accorpati tutti gli altri fondi. Tra il 774-76 gran parte del territorio di Mazzano fu inglobato da papa Adriano I nella domusculta detta di Capracorum, dal nome di una località (oggi, S. Cornelia) presso Veio dove il papa aveva dei beni. Questa grande azienda agricola che si doveva estendere da Prima Porta fino a Nepi aveva il compito di rifornire il Laterano, come le altre domoculte create, di cereali, legumi, ortaggi, vino, olio e cento maiali che dovevano essere macellati ed immagazzinati per sfamare i poveri di Roma. A Montegelato fu demolita e ricostruita la chiesa di S. Giovanni de Latregia di dimensioni più grandi con annesso battistero e con arredi più ricchi e rifiniti. Le domoculte ebbero comunque vita breve. Nell’815, alla morte di papa Leone III l’aristocrazia le fece incendiare e saccheggiare. E’ probabile che qualcuna sia andata distrutta e molte fattorie furono abbandonate. Ma il centro di Montegelato continuò a prosperare. Tra l’848 e l’852 la domoculta di Capracoro partecipò ai lavori delle mura vaticane con la costruzione di una torre e di un tratto di muro. Tuttora una lapide fissata sopra l’arco di Porta Angelica lo ricorda. Un’altra lapide, risalente al 904, riporta per la prima volta, sia pure mutila, la denominazione di un fondo Mazzano posto nel territorio nepesino e appartenente ai patrizi Teofilatto e Teodora. Il primo documento che riporta per intero la dizione di Mazzano è del 14 gennaio 945. Con quell’atto, i figli di Marozia e Teodora, Alberico, principe e senatore dei romani, e i fratelli Sergio, vescovo di Nepi, Costantino e Berta e le cugine Marozia e Stefania donano “un castello intero che si chiama Mazzano con le case e i suoi edifici”, cioè un centro abitato fortificato, al monastero di S. Gregorio al Celio. Quasi sicuramente l’abitato era limitato al solo “Montarello”. Saranno i monaci di S. Gregorio al Celio per mezzo di successive acquisizioni e donazioni ad accorpare un territorio sempre più ampio. Riuscirono a ricomporre il fondo Antico che era stato diviso in vari appezzamenti e che da adesso prenderà il nome di Castelvecchio. Però a differenza di Mazzano che era amministrato direttamente, questo veniva dato in locazione.
Dai contratti d’affitto si viene a sapere che a Castelvecchio c’era una chiesa in onore di S.Angelo e del Salvatore. A Mazzano la chiesa era dedicata a S. Nicola e S. Benedetto.
Intanto, in questo periodo, il centro di Montegelato si era arroccato su una bassa collina, dove ci sono i resti di un castello, ed era diventato il centro più importante della domoculta assumendo il nome di castrum Capracorum. Alla fine del XIII sec. il territorio era così suddiviso: il castello dell’Agnese che apparteneva alla famiglia di Vico e che nel secolosuccessivo passerà ai Colonna, Castelvecchio e Mazzano al monastero di S. Gregorio al Celio, il fondo Liniano che presto sarà inglobato in quello di Mazzano, il castello di Capracoro, che poi sarà abbandonato, alla Chiesa e il castello di Roncigliano che in questo periodo passa agli Anguillara. Nel secolo successivo, durante il periodo avignonese dei papi, la città di Roma avanzava pretese di diritto di vassallaggio sui centri del distretto e i baroni delle zone vicine cercavano in tutti i modi di estendere le loro zone d’influenza. Gli abati del monastero di S. Gregorio, vedendo in pericolo la loro signoria, vollero assicurarsi la fedeltà degli abitanti di Mazzano con un giuramento. Il 25 maggio 1327, l’abate Benedetto III convocò nella chiesa di S. Nicola gli uomini e capifamiglia che poi tutti e 42 furono ammessi al bacio della pace. Si può ipotizzare che allora la popolazione complessiva fosse di 150 persone. Il 9 marzo 1344 anche il nuovo abate del monastero Giovanni VI volle richiedere un giuramento di fedeltà e di vassallaggio agli uomini di Mazzano. Questa volta i capifamiglia erano 72, quindi la popolazione era salita a 260 persone. Il passaggio del castello ai conti dell’Anguillara deve essere avvenuta tra il 1373/76 e il 1400. Non è chiaro come Mazzano sia venuto in possesso di questa famiglia.
Forse in seguito ad un contratto d’enfiteusi, ad un pegno o ad una conquista. E’ con Dolce (I) che Mazzano passa agli Anguillara perché nel suo testamento del 19 dicembre 1400, Dolce (I) lascia vari castelli e Mazzano ai figli Everso Secondo e a quello che gli stava per nascere e che sarà chiamato Dolce (II). Sia Everso Secondo che Dolce (II) si rivelarono valorosi capitani di ventura. Nel 1425, Dolce (II) darà in pegno la metà che gli spettava di vari castelli fra i quali Mazzano per il matrimonio con Elena di Capranica. Nel 1420, Everso Secondo e Dolce (II) avevano già preso in affitto da Giordano Colonna Castelvecchio, descritto come diruto. Nel 1426 sarà il monastero di S. Gregorio a locare Castelvecchio ad Everso Secondo. A seguito di un compromesso per la divisione dei loro beni, nel 1433, Mazzano passa a Dolce (II) insieme ad Anguillara. Ma nel 1449, mentre partecipava all’assedio di Monza, Dolce (II) morirà a seguito di una schioppettata. Lascerà i figli piccoli Domenico e Orso (II) che saranno posti sotto la tutela di Everso Secondo. A partire dal 1454 Everso Secondo si pose in guerra contro il papa. Mirava a costituire un proprio Stato nel Patrimonio della Chiesa. Il suo territorio andava da S. Severa a Cerveteri, occupava tutta la diocesi di Sutri e parte di quella di Nepi, che condivideva con l’altro ramo degli Anguillara. Dopo aver conquistato Carbognano, Vallerano e Nepi, non riuscendo nei suoi intenti di prendere Viterbo, nel 1463 si ritirò nei suoi feudi dove l’anno seguente morì. Nel 1465 con un pretesto Paolo II scomunicò i figli Francesco e Deifobo e occupò tutti i castelli degli Anguillara. Dopo la caduta dei figli di Everso Secondo il monastero di S.Gregorio al Celio avanzò al papa la richiesta di restituzione del castello di Mazzano. Domenico e Orso (II) si appellarono e la causa, fra alterne vicende durò fino al 1475, quando Mazzano fece ritorno al monastero. Ancora nel 1484 Domenico, perché Orso (II) era già morto, rivendicava Mazzano e il papa Innocenzo VIII gli scriveva “di non molestare gli uomini del castello di Mazzano… e di non sollevare tumulti e disordini”. Sotto gli Anguillara, Mazzano aveva conosciuto un periodo florido. C’era stato un ampliamento del castello che nella parte sud-ovest coincideva con le mura del loro palazzo. Nel 1465 il vescovo consacra due cappelle fuori del castello, nel borgo. Una delle due, quella della Madonna dell’ospedale, l’aveva fatta fare lo Communo. L’altra, oggi la chiesetta di S. Sebastiano, era stata commissionata da un privato: Bartolomeo de Petterucchio. Gli affreschi di S. Sebastiano tra S. Gregorio e S. Rocco, sull’abside, e nella parete di sinistra di S. Anna col bambino dovrebbero essere di questo periodo. Sulla parete destra s’intravede la raffigurazione del castello di Mazzano, ma è andata distrutta. Dietro la chiesa c’era la cava e a lato di essa sorgevano le botteghe, i pozzi e la fornace, cioè il centro produttivo del paese.
Anche sotto i monaci del monastero di S. Gregorio il castello continuò a svilupparsi. L’espansione edilizia fu orientata verso l’odierna via del Salvatore dove i monaci costruirono la casa o fortilizio dell’abate nel 1510. I monaci, però, non tennero a lungo il castello. Per sovvenire alle esigenze della S. Sede, Mazzano con le tenute di Montegelato e Castelvecchio fu venduto a Giovanni Battista dell’Anguillara, del ramo Capranica, il 22 febbraio del 1526, per 12.000 ducati. Giovanni Battista dell’Anguillara, che già possedeva Calcata e Stabia (Faleria), volle con propri decreti modificare alcune parti degli Statuti Comunali che dovevano essere in vigore per lo meno dal 1465. Dopo la sua morte, gli Statuti saranno, poi, riscritti nel 1542 e saranno sottoscritti da sua figlio Flaminio (I) alla presenza di sua madre Lucrezia Orsini dell’Anguillara. A noi, però, sono pervenuti in copia semplice del 1612, con aggiunte fino al 1618. Il 1 gennaio 1559, in occasione della festa della Circoncisione, le donne di Mazzano della Compagnia di S. Orsola si recarono in processione a Calcata per l’adorazione della reliquia di Cristo. Nella chiesa furono partecipi di un miracolo: per 4 ore si manifestarono nuvole con stelle e lampi di fuoco. L’altra confraternita maschile esistente era la Compagnia del Corpo di Cristo. Flaminio (I) morì nel 1560 nella battaglia navale delle Gerbe (Djerba, Tunisia). A lui successe suo fratello Averso, che aveva sposato Camilla Savelli, e poi Flaminio (II) sposato con Anna Conti. In questo periodo il castello aveva conosciuto un ulteriore sviluppo. La popolazione, nel 1574, ormai superava gli 800 abitanti e, verso la fine del secolo, raggiunse i 1000. A Mazzano vivevano anche persone di un certo spessore culturale. Pietro Paella che esercitava anche la funzione di giudice nel 1583 scrisse un trattato di giurisprudenza sull’uso della tortura: “Brevis et utilis tractatus de tortura” dedicato ad Averso degli Anguillara. Si entrava nel castello dalla porta del torrione, difeso da un fossato, che si trovava nella rampa che da via Roma porta all’Antisà. Le mura, dopo il palazzo degli Anguillara, continuavano con un cammino di ronda fino alla torre a nord che si vede dietro la sede del parco poi proseguivano verso est, dove un’altra torre era posta a guardia della valle. Da lì, una fila di case costruite a strapiombo sulla vallata, alte 30-40 metri, continuavano fino alla chiesa. Dalla chiesa al torrione il dirupo era stato rinforzato con degli archi a volta. Si era cominciato a costruire anche fuori del castello: sull’attuale via Roma e a piazza della fornace (oggi, p.zza Umberto I), verso Cavolo zoppo e via per Campagnano. C’erano circa 15 botteghe artigiane e si esportavano a Roma soprattutto grano, vino e prodotti dell’allevamento. Insomma la Comunità era diventata talmente ricca e potente da comprare, nel 1549, la terza parte della tenuta di Roncigliano (Ronciglianello). In seguito, sarà venduta e sarà comprata, nel 1581, la tenuta di Montegelato. Grazie anche alla consistente dote procurata da Maddalena Strozzi, moglie di Flaminio (I), fu rifatta perlomeno la facciata alla chiesa di S. Nicola su disegno del Vignola nel 1563. Al suo interno la Chiesa aveva affreschi di un certo valore e un trittico, del 1556, attribuito a Girolamo Siciolante da Sermoneta. Oberato dai debiti, contratti anche con la Comunità, e per riscattare Calcata ceduta ad Andrea Cesi, duca di Cere, il 25 ottobre 1599 Flaminio (II) vendette Mazzano a Lelio, un ecclesiastico della Camera Apostolica poi fatto cardinale nel 1626, e ai fratelli Francesco e Lorenzo Biscia per 22.000 scudi. Con i Biscia, il castello ebbe il suo assetto definitivo. Tra il 1610 e il 1622, gli antichi mondezzari, oggi via del Plebiscito, furono inglobati nel nuovo giro di mura e il gruppo di case tra la piazza de fora (via Roma) e la piazza della fornace furono inserite nella nuova cinta muraria che comprendeva anche il nuovo palazzo baronale dei Biscia, terminato nel 1630, sotto il quale c’è il portone d’ingresso e l’androne che immette nel castello. L’antico torrione fu smantellato e il materiale fu riutilizzato per allungare il palazzo degli Anguillara verso la piazza della chiesa. Anche l’assetto attuale del territorio è dovuto ai Biscia. Il 14 maggio 1601 comprarono dalla Camera Apostolica la tenuta di Ronciglianello per 7.000 scudi. Nel 1669 comprarono la tenuta dell’Agnese da Michelangelo Mazzapiota di Castel S. Elia e l’ampliarono da 120 a 150 rubbie. Ma i Biscia vollero rimettere in discussione i patti e le consuetudini che regolavano la vita della Comunità. Ci fu una lunga controversia sui diritti di pascolo, sui proventi della giustizia civile e criminale, sul commercio e su diritti minori quali la pesca e la caccia. Alla fine ci furono parecchi scasamenti, poi la peste e la crisi economica del ‘600. Nel 1656 la popolazione contava 256 persone: 123 maschi, 72 femmine e 61 minori. Intanto, nel 1613 era stato soppresso il convento dei padri eremitani di S. Agostino annesso alla chiesa di S. Maria di Castelvecchio e quei beni furono assegnati al Duomo di Nepi. I Mazzanesi fecero ricorso e nacque un contenzioso ancora in corso nell’800. Il paese, ormai in decadenza, si mantenne sulle 250/300 persone per tutto il ‘700 e la prima metà dell’800. Solo ai primi del 900 ritornò sopra i 900 abitanti. A Francesco Biscia succedette Abbate e poi Urbano. Il casato proseguì con il figlio Jacopo, mentre Ortensia, la sorella, sposò il marchese Giambattista del Drago nel 1658. Ma Jacopo non ebbe figli maschi e nel 1671, per successione, i del Drago ereditarono Mazzano. Nel 1748 gli uffici della Comunità furono trasferiti nella nuova sede che oggi ospita il Parco Valle del Treja. Fino ad allora la cancelleria priorale aveva occupato due stanze nel torrione, poi, quando fu abbattuto fu trasferita in una casa su via Roma. Nel maggio 1783, Maria Rosa di Luca, gravemente malata, fu portata a Roma sulla tomba di Benedetto Giuseppe Labre che a lungo aveva soggiornato a Mazzano. Ottenne la guarigione che fu considerata un miracolo preso in considerazione per la causa di beatificazione. Il 28 maggio 1805, per “dimettere li debiti” accumulati la Comunità fu costretta a vendere la tenuta di Montegelato al sig. Antonio Ciai per poco più di 14.000 scudi. Durante l’occupazione francese furono aboliti i diritti feudali e fu nominato maire della Comune Francesco de Angelis. A quel tempo la popolazione era di 307 abitanti. Successivamente anche Pio VII nella sua riforma amministrativa abolirà il feudalesimo e il marchese Urbano del Drago vi rinuncerà formalmente il 13 settembre 1817. Ma Mazzano perse la sua autonomia. Divenne un appodiato (oggi, frazione) di Campagnano. I Mazzanesi fecero resistenza a questa nuova situazione e non vollero portare i libri dei bilanci a Campagnano. Fu fatta un’indagine amministrativa e risultò che mancavano i bilanci perlomeno dal 1793 e che al Monte
Frumentario (una specie di banca del grano) da diversi anni “quelli che presero le
imprestanze… non l’hanno mai restituite”. Mazzano ritornerà Comune nella successiva riforma amministrativa di Gregorio XVI del 1831. Dopo vari passaggi, la tenuta di Montegelato il 29 marzo 1837 sarà comprata dal principe Urbano del Drago per 4.000 scudi. Subito inibì il diritto di uso civico su quelle terre, come si era sempre fatto. Ci fu una causa che il Comune perse nel 1841. Nel Consiglio Comunale del 1843, in cambio di piccole concessioni, si decise di non proseguire nel processo. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1872, con un decreto regio di Vittorio Emanuele II a Mazzano fu aggiunto l’appellativo di Romano, per distinguerlo da Mazzano di Brescia. Nel 1873, fu costruito il cimitero: fino ad allora i defunti venivano deposti nella cripta della Chiesa. A partire dal 1889 nel territorio di Calcata e di Mazzano cominciarono le ricerche archeologiche ad opera di scavatori, avventurieri e studiosi. Grazie alle indicazioni del maestro di Mazzano O. Papetti che insegnava a Calcata fu individuato il complesso di Narce. In seguito a discussioni fra archeologi sulla composizione di certi corredi funerari ci fu uno scandalo internazionale. Fu fatta un’indagine amministrativa e il principe Filippo del Drago fece causa allo Stato essendosi sentito defraudato. Nel 1899, il Comune fece causa ai del Drago per l’esercizio degli usi civici su tutto il territorio, mentre i del Drago contestavano l’esistenza di questo diritto e volevano dare la terra in uso con contratti d’affitto come stava avvenendo anche negli altri comuni. Ci furono proteste a Nepi, Campagnano, Bracciano, Trevignano, Scrofano e altri paesi. A Mazzano nel 1901 si verificarono dei tumulti che provocarono l’intervento dei carabinieri. Nel 1903, uno sciopero lascerà il grano mietuto sull’aia da agosto ad ottobre. Nel mese di settembre di quell’anno la Corte di Appello, pronunciandosi sulla causa di Mazzano, stabilirà il principio Dove sono feudi ivi sono usi civici, escludendo però le tenute dell’Agnese, di Montegelato e di Ronciglianello perché di origine allodiale.
Seguiranno altre cause per delimitare il demanio feudale e stabilire l’organo giurisdizionale
che se ne doveva occupare. La Prima Guerra Mondiale è costata il sacrificio di 15 caduti e
9 morti per malattia, ed un soldato, Vincenzo Pancrazi, è ritornato decorato di medaglia di
bronzo al valore militare. I reduci ricostituirono nel 1919 l’Università Agraria che ebbe in
gestione 142 ettari di terra fino al 1925. Con la riforma delle circoscrizioni amministrative,
nel 1928, Mazzano, che da sempre aveva fatto parte del distretto, della comarca e della
provincia di Roma, fu aggregato a quella di Viterbo. A seguito delle proteste ritornerà nella
provincia di Roma nel 1934. Intanto, nel 1932, il Comune aveva distribuito quote di una
quarta di terra (circa mezzo ettaro), in località le Cese e Valle l’abate, pervenute per
affrancazione a tutti i capifamiglia per un totale di circa 80 ettari. Il Commissario agli Usi
Civici non avvallerà mai quella scelta e, negli anni seguenti, si registrerà il malcontento dei
nuovi capifamiglia esclusi da quelle assegnazioni. Nel 1935 entrò in funzione l’acquedotto. Anche la guerra d’Etiopia si porterà via un morto per malattia. Il 9 marzo 1938 si concluse con una transazione la lunga vertenza giudiziaria con i del Drago. Il principe cedette al Comune 199.78.60 ettari a titolo gratuito ed ettari 654.95.40 dietro il pagamento di £ 1.150.000. Chiusa la vertenza del Drago, il Comune ne aprì una contro l’arcipretura di Mazzano e i beni delle confraternite, disciolte nel 1934. L’arcipretura accettò subito l’accordo per cedere ettari 119.84.10 su 188.70.20 ettari posseduti. Ma quello definitivo, a causa degli eventi bellici, fu siglato nel 1946. Nel novembre 1940, per ordine della prefettura, il genio civile abbatté l’antica chiesa di S. Nicola perché pericolante. Il culto fu trasferito nel magazzino del principe, sotto palazzo Biscia. La Seconda Guerra mondiale si concluse con il sacrificio di 13 combattenti tra i quali Luigi Ricotti, insignito di medaglia d’argento al valore militare alla memoria, di 1 per malattia, 4 dispersi sul fronte russo, 4 vittime civili. Fino al ’40, il paese si era andato sviluppando lungo la via Romana,via Trento e via di Montefalcone. Il 5 ottobre 1947 furono assegnate 330 quote di terre di uso civico in utenza, con obbligo di miglioria e promessa di futura enfiteusi. Nel 1952/3 con la riforma fondiaria dell’Ente Maremma si distribuirono altre terre e poderi. Il 3 gennaio 1960 furono assegnate altre 201 quote di uso civico ma in enfiteusi perpetua. Nel 1963 entrò in funzione la strada provinciale Mazzano Calcata. Intanto il paese aveva cominciato a svilupparsi fuori della forra e da allora è in continua espansione. Negli anni ’60 fu costruita la piazza principale, oggi p.zza Giovanni XXIII che ospita la sede comunale, la nuova chiesa di S. Nicola e la scuola che dal 1985 è stata trasferita in un più moderno e accogliente edificio che ospita la materna, le elementari e le medie. Su richiesta dei comuni di Mazzano e di Calcata nel 1982 la Regione Lazio ha istituito il Parco suburbano Valle del Treja che dal 1985 è dotato di propri organi amministrativi.
La grande estensione delle numerose necropoli (dal IX-VIII sec. fino al IV-III sec. A.C.) della Petrina, Pizzo Piede, Monte Cerreto, Monte Li Santi, Monte lo Greco, Morgi, ecc. fanno ritenere che questa importante città controllasse la parte meridionale dell’Agro Falisco. Gli studiosi ormai la identificano con l’antica Fescennium, ricordata dagli storici più tardi per i “versi fescennini” e per speciali salumi. Era al centro di una fitta rete di scambi commerciali e da essa dipendevano borghi fortificati di dimensioni minori, come dovevano essere Mazzano e Calcata e vari insediamenti rurali.
Dopo l’occupazione romana del 241 A.C., quasi tutte le attività nella zona decaddero e rimasero in funzione solo un tempio in località le Rote e una piccola fabbrica di tegole, mentre un insediamento romano si formava presso il fosso Stramazzo (bivio di Montegelato), lungo la strada per Nepi. Le prime ville risalgono al I sec. D.C. e la più importante, che è stata studiata, è quella di Montegelato. Era di Gaio Valerio Fausto, un mercante di buoi e capo degli ufficiali addetti al culto di Augusto a Veio. Agli inizi del IV sec. D.C., appartenevano alla chiesa di S. Croce in Gerusalemme i fondi Anglesis (Agnese) e Terega (Treia). A giudicare dalle entrate di CL e CLX solidi dovevano avere un’estensione di terra coltivabile di 56 e 60 ettari. Intanto la villa di Montegelato – il fondo Terega – si era trasformato in un piccolo villaggio rurale. Secondo una tradizione orale, Cata Galla, la figlia di Simmaco, patrizio e console dei romani fatto giustiziare insieme a Boezio nel 522 da Teodorico, re dei Goti, vi fece costruire la chiesa in onore Sancti Iohanni Baptistae iusta …Tarega.
Nel 750 il fondo Antico – oggi S. Maria di Castelvecchio – abitato e coltivato, apparteneva in parte al dux Eustazio che lo donò alla diaconia di S. Maria in Cosmedin del quale era amministratore. Nello stesso periodo, sull’antica villa del fondo appartenente alla famiglia Matius si andava formando un altro piccolo villaggio rurale. In seguito quel villaggio si sarebbe chiamato Mazzano e, a partire dal quale, furono accorpati tutti gli altri fondi. Tra il 774-76 gran parte del territorio di Mazzano fu inglobato da papa Adriano I nella domusculta detta di Capracorum, dal nome di una località (oggi, S. Cornelia) presso Veio dove il papa aveva dei beni. Questa grande azienda agricola che si doveva estendere da Prima Porta fino a Nepi aveva il compito di rifornire il Laterano, come le altre domoculte create, di cereali, legumi, ortaggi, vino, olio e cento maiali che dovevano essere macellati ed immagazzinati per sfamare i poveri di Roma. A Montegelato fu demolita e ricostruita la chiesa di S. Giovanni de Latregia di dimensioni più grandi con annesso battistero e con arredi più ricchi e rifiniti. Le domoculte ebbero comunque vita breve. Nell’815, alla morte di papa Leone III l’aristocrazia le fece incendiare e saccheggiare. E’ probabile che qualcuna sia andata distrutta e molte fattorie furono abbandonate. Ma il centro di Montegelato continuò a prosperare. Tra l’848 e l’852 la domoculta di Capracoro partecipò ai lavori delle mura vaticane con la costruzione di una torre e di un tratto di muro. Tuttora una lapide fissata sopra l’arco di Porta Angelica lo ricorda. Un’altra lapide, risalente al 904, riporta per la prima volta, sia pure mutila, la denominazione di un fondo Mazzano posto nel territorio nepesino e appartenente ai patrizi Teofilatto e Teodora. Il primo documento che riporta per intero la dizione di Mazzano è del 14 gennaio 945. Con quell’atto, i figli di Marozia e Teodora, Alberico, principe e senatore dei romani, e i fratelli Sergio, vescovo di Nepi, Costantino e Berta e le cugine Marozia e Stefania donano “un castello intero che si chiama Mazzano con le case e i suoi edifici”, cioè un centro abitato fortificato, al monastero di S. Gregorio al Celio. Quasi sicuramente l’abitato era limitato al solo “Montarello”. Saranno i monaci di S. Gregorio al Celio per mezzo di successive acquisizioni e donazioni ad accorpare un territorio sempre più ampio. Riuscirono a ricomporre il fondo Antico che era stato diviso in vari appezzamenti e che da adesso prenderà il nome di Castelvecchio. Però a differenza di Mazzano che era amministrato direttamente, questo veniva dato in locazione.
Dai contratti d’affitto si viene a sapere che a Castelvecchio c’era una chiesa in onore di S.Angelo e del Salvatore. A Mazzano la chiesa era dedicata a S. Nicola e S. Benedetto.
Intanto, in questo periodo, il centro di Montegelato si era arroccato su una bassa collina, dove ci sono i resti di un castello, ed era diventato il centro più importante della domoculta assumendo il nome di castrum Capracorum. Alla fine del XIII sec. il territorio era così suddiviso: il castello dell’Agnese che apparteneva alla famiglia di Vico e che nel secolosuccessivo passerà ai Colonna, Castelvecchio e Mazzano al monastero di S. Gregorio al Celio, il fondo Liniano che presto sarà inglobato in quello di Mazzano, il castello di Capracoro, che poi sarà abbandonato, alla Chiesa e il castello di Roncigliano che in questo periodo passa agli Anguillara. Nel secolo successivo, durante il periodo avignonese dei papi, la città di Roma avanzava pretese di diritto di vassallaggio sui centri del distretto e i baroni delle zone vicine cercavano in tutti i modi di estendere le loro zone d’influenza. Gli abati del monastero di S. Gregorio, vedendo in pericolo la loro signoria, vollero assicurarsi la fedeltà degli abitanti di Mazzano con un giuramento. Il 25 maggio 1327, l’abate Benedetto III convocò nella chiesa di S. Nicola gli uomini e capifamiglia che poi tutti e 42 furono ammessi al bacio della pace. Si può ipotizzare che allora la popolazione complessiva fosse di 150 persone. Il 9 marzo 1344 anche il nuovo abate del monastero Giovanni VI volle richiedere un giuramento di fedeltà e di vassallaggio agli uomini di Mazzano. Questa volta i capifamiglia erano 72, quindi la popolazione era salita a 260 persone. Il passaggio del castello ai conti dell’Anguillara deve essere avvenuta tra il 1373/76 e il 1400. Non è chiaro come Mazzano sia venuto in possesso di questa famiglia.
Forse in seguito ad un contratto d’enfiteusi, ad un pegno o ad una conquista. E’ con Dolce (I) che Mazzano passa agli Anguillara perché nel suo testamento del 19 dicembre 1400, Dolce (I) lascia vari castelli e Mazzano ai figli Everso Secondo e a quello che gli stava per nascere e che sarà chiamato Dolce (II). Sia Everso Secondo che Dolce (II) si rivelarono valorosi capitani di ventura. Nel 1425, Dolce (II) darà in pegno la metà che gli spettava di vari castelli fra i quali Mazzano per il matrimonio con Elena di Capranica. Nel 1420, Everso Secondo e Dolce (II) avevano già preso in affitto da Giordano Colonna Castelvecchio, descritto come diruto. Nel 1426 sarà il monastero di S. Gregorio a locare Castelvecchio ad Everso Secondo. A seguito di un compromesso per la divisione dei loro beni, nel 1433, Mazzano passa a Dolce (II) insieme ad Anguillara. Ma nel 1449, mentre partecipava all’assedio di Monza, Dolce (II) morirà a seguito di una schioppettata. Lascerà i figli piccoli Domenico e Orso (II) che saranno posti sotto la tutela di Everso Secondo. A partire dal 1454 Everso Secondo si pose in guerra contro il papa. Mirava a costituire un proprio Stato nel Patrimonio della Chiesa. Il suo territorio andava da S. Severa a Cerveteri, occupava tutta la diocesi di Sutri e parte di quella di Nepi, che condivideva con l’altro ramo degli Anguillara. Dopo aver conquistato Carbognano, Vallerano e Nepi, non riuscendo nei suoi intenti di prendere Viterbo, nel 1463 si ritirò nei suoi feudi dove l’anno seguente morì. Nel 1465 con un pretesto Paolo II scomunicò i figli Francesco e Deifobo e occupò tutti i castelli degli Anguillara. Dopo la caduta dei figli di Everso Secondo il monastero di S.Gregorio al Celio avanzò al papa la richiesta di restituzione del castello di Mazzano. Domenico e Orso (II) si appellarono e la causa, fra alterne vicende durò fino al 1475, quando Mazzano fece ritorno al monastero. Ancora nel 1484 Domenico, perché Orso (II) era già morto, rivendicava Mazzano e il papa Innocenzo VIII gli scriveva “di non molestare gli uomini del castello di Mazzano… e di non sollevare tumulti e disordini”. Sotto gli Anguillara, Mazzano aveva conosciuto un periodo florido. C’era stato un ampliamento del castello che nella parte sud-ovest coincideva con le mura del loro palazzo. Nel 1465 il vescovo consacra due cappelle fuori del castello, nel borgo. Una delle due, quella della Madonna dell’ospedale, l’aveva fatta fare lo Communo. L’altra, oggi la chiesetta di S. Sebastiano, era stata commissionata da un privato: Bartolomeo de Petterucchio. Gli affreschi di S. Sebastiano tra S. Gregorio e S. Rocco, sull’abside, e nella parete di sinistra di S. Anna col bambino dovrebbero essere di questo periodo. Sulla parete destra s’intravede la raffigurazione del castello di Mazzano, ma è andata distrutta. Dietro la chiesa c’era la cava e a lato di essa sorgevano le botteghe, i pozzi e la fornace, cioè il centro produttivo del paese.
Anche sotto i monaci del monastero di S. Gregorio il castello continuò a svilupparsi. L’espansione edilizia fu orientata verso l’odierna via del Salvatore dove i monaci costruirono la casa o fortilizio dell’abate nel 1510. I monaci, però, non tennero a lungo il castello. Per sovvenire alle esigenze della S. Sede, Mazzano con le tenute di Montegelato e Castelvecchio fu venduto a Giovanni Battista dell’Anguillara, del ramo Capranica, il 22 febbraio del 1526, per 12.000 ducati. Giovanni Battista dell’Anguillara, che già possedeva Calcata e Stabia (Faleria), volle con propri decreti modificare alcune parti degli Statuti Comunali che dovevano essere in vigore per lo meno dal 1465. Dopo la sua morte, gli Statuti saranno, poi, riscritti nel 1542 e saranno sottoscritti da sua figlio Flaminio (I) alla presenza di sua madre Lucrezia Orsini dell’Anguillara. A noi, però, sono pervenuti in copia semplice del 1612, con aggiunte fino al 1618. Il 1 gennaio 1559, in occasione della festa della Circoncisione, le donne di Mazzano della Compagnia di S. Orsola si recarono in processione a Calcata per l’adorazione della reliquia di Cristo. Nella chiesa furono partecipi di un miracolo: per 4 ore si manifestarono nuvole con stelle e lampi di fuoco. L’altra confraternita maschile esistente era la Compagnia del Corpo di Cristo. Flaminio (I) morì nel 1560 nella battaglia navale delle Gerbe (Djerba, Tunisia). A lui successe suo fratello Averso, che aveva sposato Camilla Savelli, e poi Flaminio (II) sposato con Anna Conti. In questo periodo il castello aveva conosciuto un ulteriore sviluppo. La popolazione, nel 1574, ormai superava gli 800 abitanti e, verso la fine del secolo, raggiunse i 1000. A Mazzano vivevano anche persone di un certo spessore culturale. Pietro Paella che esercitava anche la funzione di giudice nel 1583 scrisse un trattato di giurisprudenza sull’uso della tortura: “Brevis et utilis tractatus de tortura” dedicato ad Averso degli Anguillara. Si entrava nel castello dalla porta del torrione, difeso da un fossato, che si trovava nella rampa che da via Roma porta all’Antisà. Le mura, dopo il palazzo degli Anguillara, continuavano con un cammino di ronda fino alla torre a nord che si vede dietro la sede del parco poi proseguivano verso est, dove un’altra torre era posta a guardia della valle. Da lì, una fila di case costruite a strapiombo sulla vallata, alte 30-40 metri, continuavano fino alla chiesa. Dalla chiesa al torrione il dirupo era stato rinforzato con degli archi a volta. Si era cominciato a costruire anche fuori del castello: sull’attuale via Roma e a piazza della fornace (oggi, p.zza Umberto I), verso Cavolo zoppo e via per Campagnano. C’erano circa 15 botteghe artigiane e si esportavano a Roma soprattutto grano, vino e prodotti dell’allevamento. Insomma la Comunità era diventata talmente ricca e potente da comprare, nel 1549, la terza parte della tenuta di Roncigliano (Ronciglianello). In seguito, sarà venduta e sarà comprata, nel 1581, la tenuta di Montegelato. Grazie anche alla consistente dote procurata da Maddalena Strozzi, moglie di Flaminio (I), fu rifatta perlomeno la facciata alla chiesa di S. Nicola su disegno del Vignola nel 1563. Al suo interno la Chiesa aveva affreschi di un certo valore e un trittico, del 1556, attribuito a Girolamo Siciolante da Sermoneta. Oberato dai debiti, contratti anche con la Comunità, e per riscattare Calcata ceduta ad Andrea Cesi, duca di Cere, il 25 ottobre 1599 Flaminio (II) vendette Mazzano a Lelio, un ecclesiastico della Camera Apostolica poi fatto cardinale nel 1626, e ai fratelli Francesco e Lorenzo Biscia per 22.000 scudi. Con i Biscia, il castello ebbe il suo assetto definitivo. Tra il 1610 e il 1622, gli antichi mondezzari, oggi via del Plebiscito, furono inglobati nel nuovo giro di mura e il gruppo di case tra la piazza de fora (via Roma) e la piazza della fornace furono inserite nella nuova cinta muraria che comprendeva anche il nuovo palazzo baronale dei Biscia, terminato nel 1630, sotto il quale c’è il portone d’ingresso e l’androne che immette nel castello. L’antico torrione fu smantellato e il materiale fu riutilizzato per allungare il palazzo degli Anguillara verso la piazza della chiesa. Anche l’assetto attuale del territorio è dovuto ai Biscia. Il 14 maggio 1601 comprarono dalla Camera Apostolica la tenuta di Ronciglianello per 7.000 scudi. Nel 1669 comprarono la tenuta dell’Agnese da Michelangelo Mazzapiota di Castel S. Elia e l’ampliarono da 120 a 150 rubbie. Ma i Biscia vollero rimettere in discussione i patti e le consuetudini che regolavano la vita della Comunità. Ci fu una lunga controversia sui diritti di pascolo, sui proventi della giustizia civile e criminale, sul commercio e su diritti minori quali la pesca e la caccia. Alla fine ci furono parecchi scasamenti, poi la peste e la crisi economica del ‘600. Nel 1656 la popolazione contava 256 persone: 123 maschi, 72 femmine e 61 minori. Intanto, nel 1613 era stato soppresso il convento dei padri eremitani di S. Agostino annesso alla chiesa di S. Maria di Castelvecchio e quei beni furono assegnati al Duomo di Nepi. I Mazzanesi fecero ricorso e nacque un contenzioso ancora in corso nell’800. Il paese, ormai in decadenza, si mantenne sulle 250/300 persone per tutto il ‘700 e la prima metà dell’800. Solo ai primi del 900 ritornò sopra i 900 abitanti. A Francesco Biscia succedette Abbate e poi Urbano. Il casato proseguì con il figlio Jacopo, mentre Ortensia, la sorella, sposò il marchese Giambattista del Drago nel 1658. Ma Jacopo non ebbe figli maschi e nel 1671, per successione, i del Drago ereditarono Mazzano. Nel 1748 gli uffici della Comunità furono trasferiti nella nuova sede che oggi ospita il Parco Valle del Treja. Fino ad allora la cancelleria priorale aveva occupato due stanze nel torrione, poi, quando fu abbattuto fu trasferita in una casa su via Roma. Nel maggio 1783, Maria Rosa di Luca, gravemente malata, fu portata a Roma sulla tomba di Benedetto Giuseppe Labre che a lungo aveva soggiornato a Mazzano. Ottenne la guarigione che fu considerata un miracolo preso in considerazione per la causa di beatificazione. Il 28 maggio 1805, per “dimettere li debiti” accumulati la Comunità fu costretta a vendere la tenuta di Montegelato al sig. Antonio Ciai per poco più di 14.000 scudi. Durante l’occupazione francese furono aboliti i diritti feudali e fu nominato maire della Comune Francesco de Angelis. A quel tempo la popolazione era di 307 abitanti. Successivamente anche Pio VII nella sua riforma amministrativa abolirà il feudalesimo e il marchese Urbano del Drago vi rinuncerà formalmente il 13 settembre 1817. Ma Mazzano perse la sua autonomia. Divenne un appodiato (oggi, frazione) di Campagnano. I Mazzanesi fecero resistenza a questa nuova situazione e non vollero portare i libri dei bilanci a Campagnano. Fu fatta un’indagine amministrativa e risultò che mancavano i bilanci perlomeno dal 1793 e che al Monte
Frumentario (una specie di banca del grano) da diversi anni “quelli che presero le
imprestanze… non l’hanno mai restituite”. Mazzano ritornerà Comune nella successiva riforma amministrativa di Gregorio XVI del 1831. Dopo vari passaggi, la tenuta di Montegelato il 29 marzo 1837 sarà comprata dal principe Urbano del Drago per 4.000 scudi. Subito inibì il diritto di uso civico su quelle terre, come si era sempre fatto. Ci fu una causa che il Comune perse nel 1841. Nel Consiglio Comunale del 1843, in cambio di piccole concessioni, si decise di non proseguire nel processo. Dopo l’Unità d’Italia, nel 1872, con un decreto regio di Vittorio Emanuele II a Mazzano fu aggiunto l’appellativo di Romano, per distinguerlo da Mazzano di Brescia. Nel 1873, fu costruito il cimitero: fino ad allora i defunti venivano deposti nella cripta della Chiesa. A partire dal 1889 nel territorio di Calcata e di Mazzano cominciarono le ricerche archeologiche ad opera di scavatori, avventurieri e studiosi. Grazie alle indicazioni del maestro di Mazzano O. Papetti che insegnava a Calcata fu individuato il complesso di Narce. In seguito a discussioni fra archeologi sulla composizione di certi corredi funerari ci fu uno scandalo internazionale. Fu fatta un’indagine amministrativa e il principe Filippo del Drago fece causa allo Stato essendosi sentito defraudato. Nel 1899, il Comune fece causa ai del Drago per l’esercizio degli usi civici su tutto il territorio, mentre i del Drago contestavano l’esistenza di questo diritto e volevano dare la terra in uso con contratti d’affitto come stava avvenendo anche negli altri comuni. Ci furono proteste a Nepi, Campagnano, Bracciano, Trevignano, Scrofano e altri paesi. A Mazzano nel 1901 si verificarono dei tumulti che provocarono l’intervento dei carabinieri. Nel 1903, uno sciopero lascerà il grano mietuto sull’aia da agosto ad ottobre. Nel mese di settembre di quell’anno la Corte di Appello, pronunciandosi sulla causa di Mazzano, stabilirà il principio Dove sono feudi ivi sono usi civici, escludendo però le tenute dell’Agnese, di Montegelato e di Ronciglianello perché di origine allodiale.
Seguiranno altre cause per delimitare il demanio feudale e stabilire l’organo giurisdizionale
che se ne doveva occupare. La Prima Guerra Mondiale è costata il sacrificio di 15 caduti e
9 morti per malattia, ed un soldato, Vincenzo Pancrazi, è ritornato decorato di medaglia di
bronzo al valore militare. I reduci ricostituirono nel 1919 l’Università Agraria che ebbe in
gestione 142 ettari di terra fino al 1925. Con la riforma delle circoscrizioni amministrative,
nel 1928, Mazzano, che da sempre aveva fatto parte del distretto, della comarca e della
provincia di Roma, fu aggregato a quella di Viterbo. A seguito delle proteste ritornerà nella
provincia di Roma nel 1934. Intanto, nel 1932, il Comune aveva distribuito quote di una
quarta di terra (circa mezzo ettaro), in località le Cese e Valle l’abate, pervenute per
affrancazione a tutti i capifamiglia per un totale di circa 80 ettari. Il Commissario agli Usi
Civici non avvallerà mai quella scelta e, negli anni seguenti, si registrerà il malcontento dei
nuovi capifamiglia esclusi da quelle assegnazioni. Nel 1935 entrò in funzione l’acquedotto. Anche la guerra d’Etiopia si porterà via un morto per malattia. Il 9 marzo 1938 si concluse con una transazione la lunga vertenza giudiziaria con i del Drago. Il principe cedette al Comune 199.78.60 ettari a titolo gratuito ed ettari 654.95.40 dietro il pagamento di £ 1.150.000. Chiusa la vertenza del Drago, il Comune ne aprì una contro l’arcipretura di Mazzano e i beni delle confraternite, disciolte nel 1934. L’arcipretura accettò subito l’accordo per cedere ettari 119.84.10 su 188.70.20 ettari posseduti. Ma quello definitivo, a causa degli eventi bellici, fu siglato nel 1946. Nel novembre 1940, per ordine della prefettura, il genio civile abbatté l’antica chiesa di S. Nicola perché pericolante. Il culto fu trasferito nel magazzino del principe, sotto palazzo Biscia. La Seconda Guerra mondiale si concluse con il sacrificio di 13 combattenti tra i quali Luigi Ricotti, insignito di medaglia d’argento al valore militare alla memoria, di 1 per malattia, 4 dispersi sul fronte russo, 4 vittime civili. Fino al ’40, il paese si era andato sviluppando lungo la via Romana,via Trento e via di Montefalcone. Il 5 ottobre 1947 furono assegnate 330 quote di terre di uso civico in utenza, con obbligo di miglioria e promessa di futura enfiteusi. Nel 1952/3 con la riforma fondiaria dell’Ente Maremma si distribuirono altre terre e poderi. Il 3 gennaio 1960 furono assegnate altre 201 quote di uso civico ma in enfiteusi perpetua. Nel 1963 entrò in funzione la strada provinciale Mazzano Calcata. Intanto il paese aveva cominciato a svilupparsi fuori della forra e da allora è in continua espansione. Negli anni ’60 fu costruita la piazza principale, oggi p.zza Giovanni XXIII che ospita la sede comunale, la nuova chiesa di S. Nicola e la scuola che dal 1985 è stata trasferita in un più moderno e accogliente edificio che ospita la materna, le elementari e le medie. Su richiesta dei comuni di Mazzano e di Calcata nel 1982 la Regione Lazio ha istituito il Parco suburbano Valle del Treja che dal 1985 è dotato di propri organi amministrativi.
Le Cascate di Monte Gelato
L’itinerario che dalle cascate di Monte Gelato arriva a Calcata, passando per Mazzano Romano, è uno dei più interessanti del parco, per la varietà e la bellezza degli ambienti che si possono incontrare. Il percorso richiede circa tre ore e mezza e, oltre a calzature adeguate, sono necessarie cautela e attenzione soprattutto nel tratto iniziale, raccomandato solo agli escursionisti esperti e da fare solo con buone condizioni metereologiche. Il punto di partenza è alle Cascate di Monte Gelato, in corrispondenza del sentiero sulla sponda sinistra del fiume Treja, segnato con il numero 001.
Per tutti gli altri le Cascate di Monte Gelato si possono raggiungere tranquillamente in auto.
Arrivati alle cascate ci si immerge in una zona ricca di risorgive e rivoletti d’acqua, bella ma un po’ fangosa con una serie di saliscendi in mezzo al bosco, continuando sempre per il percorso più vicino al fiume.
Meta di scampagnate e località particolarmente amata dagli sceneggiatori di cinema e pubblicità, Monte Gelato è uno dei luoghi storici più significativi e suggestivi della Valle del Treja. Il fiume scorre attraverso gli alberi formando piccole cascate naturali, che in estate regalano un po’ di refrigerio ai tanti visitatori domenicali. Per la sua ricchezza d’acqua, Monte Gelato è stato frequentato dall’uomo fin dall’età preistorica e qui si conservano tracce dei molteplici insediamenti avvenuti nel tempo: dai resti di una villa romana del I secolo a.C., all’insediamento agricolo dell’VIII secolo d.C., al mulino ad acqua realizzato nell’800 e rimasto attivo sino agli anni ’60. La Mola, o mulino, venne realizzata per volontà della famiglia Del Drago, che in quegli anni era proprietaria dell’omonima tenuta.
Si tratta di un complesso di edifici che sfrutta alcune preesistenze medievali: una struttura posta tra i due rami del fiume Treja, in corrispondenza delle note cascate, forse già in antico usata come mola e una torretta situata poco distante, lungo la strada attuale. Rimasto attivo fino dopoguerra e poi abbandonato, è stato recuperato solo in tempi molto recenti, e ospita un punto informativo del Parco che, attraverso plastici e pannelli, illustra alcuni aspetti della struttura del territorio circostante. La suggestione dei luoghi, le numerose cascatelle, le ombrose forre, la rendono una meta classica per gite e scampagnate.






















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