Foto di Adriano Di Benedetto – Comuni-Italiani.it Calcata.
Proseguendo sulla 18/b lasciando Magliano Romano alle spalle, dopo sei km raggiungiamo Calcata compreso nella meravigliosa Valle del Treja, un parco comprendente Calcata e Mazzano e una parte della Valle del Treja, il fiume che con i suoi affluenti si insinua nelle forre e scorre attraverso la folta vegetazione.
Calcata è un piccolo insediamento che ha conservato la caratteristica del borgo medievale. Era compreso nella Domusculta Capracorum, ricordato per la prima volta nel 974, divenne in seguito un castello con il nome di castrum Sinibaldorum ma nel 1291 fu già dichiarato diruto. Era di proprietà degli Anguillara da cui fu riedificato e ceduto ai Sinibandi nel 1734 per poi essere nuovamente ceduto ai Massimo e infine ai Colonna.
Lo sperone su cui poggia Calcata è di forma ovale e le pareti verticali sono rinforzate dalle mura del borgo o delle case stesse mentre l’accesso è costituito da un arco scavato nel tufo che ai due lati presenta due blocchi di peperino forati per le catene del ponte levatoio. Sull’arco è presente lo stemma degli Anguillara signori del feudo che si estinsero con questo ramo e che erano una derivazione degli Orsini. Il borgo è costituito da abitazioni comprese tra i tortuosi vicoli e tra cui emergono le due chiesette: la minore su una piazzetta di forma irregolare e la parrocchiale di San Cipriano e Cornelio.
In questa chiesa sperduta rispetto ad altri paesi più prossimi alle grandi direttrici, era conservato un prezioso reliquario cinquecentesco contenente il prepuzio di N.Signore.
Accanto alla chiesa è il Palazzo Baronale degli Anguillara con la torre quadrata e riedificato in epoche recenti. Tutto il costone tufaceo è percorso da grotte artificiali probabilmente etrusche.
Sul versante opposto a Calcata è un piccolo insediamento chiamato S: Maria di Calcata che è stato abbandonato e che si raggiunge attraverso la provinciale Mazzano Calcata. Nell’abitato vi si riconoscono i resti di una chiesa con convento annesso di cui restano i resti della navata absidata. Inoltre una imponente torre trecentesca con paramento a blocchi con un fossato che isolava l’ingresso
Reliquia del Santo Prepuzio di N.Signore – La particolare storia

Si narra che nel 1527 vicino Calcata, venne catturato un soldato lanzichenecco che aveva preso parte al sacco di Roma dello stesso anno, riuscendo a depredare il Sancta Sanctorum di San Giovanni in Laterano dove era custodito il prepuzio di Gesù, che fu come da tradizione ebraica, circonciso. Il soldato, imprigionato, nascose la reliquia in una nicchia scavata nella sua cella fino al giorno della sua morte, quando la cella venne riaperta e la reliquia fu ritrovata. Va precisato che molti santi prepuzi sono stati custoditi in varie città e tutte ritenevano di detenere l’originale.
La reliquia successivamente fu protetta in un prezioso reliquario che dovette essere realizzato tra il 1557, anno del ritrovamento e il 1585, quando Sisto V concesse l’indulgenza decennale alla chiesa di Calcata che lo conservava. L’indulgenza venne concessa dietro istanza di Emilia Orsini, cognata di Maddalena Anguillara che per prima aveva avuto in consegna la reliquia e che potrebbe essere stata la committente del reliquiario. In questo caso, l’origine fiorentina della gentildonna, figlia di Clarice de’Medici e di Filippo Strozzi, permetterebbe di individuarne l’autore in un orafo toscano o di cultura toscana, magari attivo a Roma. In perfetta rispondenza con la sofisticata eleganza della cultura figurativa tardo manierista è ricoperto di gemme, come sopra ricordato, è un’aggiunta settecentesca voluta dal cardinale Cibo in sostituzione del “tenue vasetto d’argento di poco valore”.

Processione per il Santo Prepuzio. Durante una di queste manifestazioni, nel 1983 la reliqua misteriosamente scomparve da Calcata.
Parco del Treja
Il paesaggio del Parco ha origine da una complessa storia geologica: fondovalle stretti, gole più o meno ripide e coperte dalla vegetazione.
Partendo dall’alto si possono distinguere quattro differenti ambienti particolari: il bosco termofilo, le pianure destinate all’agricoltura e all’allevamento, il bosco misto e le aree umide.
Dove il clima è più caldo e assolato, come sui pendii, si incontra il bosco termofilo che, a causa della lontananza dal fondovalle e dallo scorrere dell’acqua, è composto da specie che necessitano di poca umidità. Tra le piante caratteristiche si incontrano il corniolo, il ligustro e la ginestra. Le aree a bosco misto sono popolate da carpino nero, roverella e ornello e nel sottobosco si trovano pungitopo, robbia e ciclamino. Nelle zone più fresche si incontra un bosco composto principalmente da roverella e cerro a cui si accompagnano l’olmo comune, la farnia, il nocciolo e l’acero.
Partendo dall’alto si possono distinguere quattro differenti ambienti particolari: il bosco termofilo, le pianure destinate all’agricoltura e all’allevamento, il bosco misto e le aree umide.
Dove il clima è più caldo e assolato, come sui pendii, si incontra il bosco termofilo che, a causa della lontananza dal fondovalle e dallo scorrere dell’acqua, è composto da specie che necessitano di poca umidità. Tra le piante caratteristiche si incontrano il corniolo, il ligustro e la ginestra. Le aree a bosco misto sono popolate da carpino nero, roverella e ornello e nel sottobosco si trovano pungitopo, robbia e ciclamino. Nelle zone più fresche si incontra un bosco composto principalmente da roverella e cerro a cui si accompagnano l’olmo comune, la farnia, il nocciolo e l’acero.
Ai margini delle aree boscose, a segnare il confine tra l’ambiente naturale e l’ambiente modificato dalla presenza dell’uomo si aprono pianure destinate all’agricoltura ed all’allevamento.
Le forme ripide del paesaggio hanno conservato l’ambiente naturale: le zone dove non era possibile coltivare o costruire offrono oggi al visitatore di oggi un colpo d’occhio molto simile a quello che potevano avere i nostri antenati.
Le forme ripide del paesaggio hanno conservato l’ambiente naturale: le zone dove non era possibile coltivare o costruire offrono oggi al visitatore di oggi un colpo d’occhio molto simile a quello che potevano avere i nostri antenati.

All’interno delle forre, dove il sole giunge più rado e il tasso di umidità è maggiore, si trovano ampie estensioni di bosco misto, spesso più naturale del bosco termofilo a causa della minore comodità di accesso per uomini e animali. Anche qui le associazioni forestali presenti sono due: la prima si trova nella zona di raccordo tra l’alveo fluviale e le pareti fortemente inclinate delle forre (frequente soprattutto lungo la riva sinistra orografica del Treja) e le sue piante caratteristiche sono il cerro, il nocciolo e l’acero campestre.
Dal punto di vista della fauna la zona non è più popolata come doveva essere in un passato. Questo è dovuto sia alle ridotte dimensioni dell’area protetta che all’elevata presenza umana nei dintorni, che rende difficili le condizioni di vita e le possibilità di spostamento da una zona all’altra della fauna più importante, come i mammiferi.
Sono comunque frequenti la volpe, il riccio, la faina, l’istrice, il ghiro e il moscardino; nonostante si parli della presenza del lupo, non si hanno segnalazioni recenti che la possano confermare. Il tasso, la puzzola, la martora e il gatto selvatico sono presenti, come il cinghiale che crea spesso problemi alle coltivazioni, motivo per il quale gli agricoltori percepiscono un indennizzo e vengono muniti di recinzioni elettrificate per cercare di contenere il problema.
La nutria, un roditore di origine sudamericana allevato per la sua pelliccia, ha colonizzato le rive di molti corsi d’acqua italiani ed è presente nelle zone più vicine alle rive. Tra i rapaci sono presenti il falco pellegrino, il falco pecchiaiolo, lo sparviero, il gheppio, il nibbio bruno e la poiana; nei mesi invernali sosta spesso nella zona l’airone cenerino. Nella valle e nei suoi boschi nidificano lo scricciolo, il pettirosso, il merlo, il picchio verde, la ghiandaia, il passero solitario e l’usignolo. Il gufo comune è certamente presente e ci sono segnalazioni che riguardano l’avvistamento dello splendido gufo reale.
Rettili e anfibi sono quelli più frequenti nelle regioni dell’Italia centrale: tra questi si possono ricordare la testuggine, il geco, il ramarro, il saettone, la natrice dal collare e la vipera comune. Tra gli anfibi è stata ritrovata la salamandrina dagli occhiali, molto rara per le sue particolari necessità ambientali. Nelle acque vive una fauna importante e varia che comprende il granchio di fiume, cavedano, che nella zona viene detto “squalo” a causa dell’affiorare della sua pinna caudale, il barbo il ghiozzo e la carpa, mentre vari tentativi di introdurre la trota nel fiume non hanno dato risultati a causa delle condizioni ambientali non adatte.
Nelle zone alla base delle pareti dove non sono presenti pendii di raccordo con il corso del fiume, si incontrano boschi misti chiusi ad elevata ricchezza flogistica con specie montane e sub-montane, come il carpino bianco e un sottobosco rigoglioso e ricco di felci a cui si accompagnano anche molte delle specie dell’associazione forestale precedente.
Nell’ambiente che costituisce il vero cuore del Parco, cioè lungo i corsi d’acqua affluenti del Treja e lungo il suo corso, si incontrano le piante particolari caratteristiche delle aree umide.
La vegetazione di queste zone assume aspetti diversi con il variare della larghezza e delle caratteristiche dell’alveo fluviale: nei tratti più stretti e scoscesi, dove la corrente è più veloce – è il caso dell’ambiente che circonda le Cascate di Monte Gelato – prevale l’ontano nero, accompagnato dal salice bianco, dal pioppo nero, dalla carex pendula e dall’olmo. Dove invece il corso del fiume è più ampio e meno roccioso, la presenza principale è quella del salice bianco, accompagnato da pioppo nero e carex pendula, come si può osservare nei pressi di Calcata o lungo le anse più settentrionali del corso del Treja.
La vegetazione strettamente acquatica, presente nei tratti dove le acque sono quasi ferme, comprende i canneti (canna palustre, equiseto e tipha), con alcune specie di vegetazione sommersa come il potamogeton o galleggiante e come la lenticchia d’acqua.
Se seguiamo il corso del fiume all’interno del Parco, il primo – e più famoso – punto di interesse è senz’altro costituito dalle cascate di Monte Gelato, dopo le quali il fiume si inoltra in una gola selvaggia fino alla rupe su cui sorge il paese di Mazzano Romano. Oltre questo rilievo, la valle si allarga in corrispondenza di una larga ansa del fiume e, sul lato destro, una serie di piccole alture ospitano i siti archeologici di Narce, Pizzopiede e Monte Li Santi e, poco oltre, il borgo di Calcata, con la sua inconfondibile sagoma arroccata.
Sono comunque frequenti la volpe, il riccio, la faina, l’istrice, il ghiro e il moscardino; nonostante si parli della presenza del lupo, non si hanno segnalazioni recenti che la possano confermare. Il tasso, la puzzola, la martora e il gatto selvatico sono presenti, come il cinghiale che crea spesso problemi alle coltivazioni, motivo per il quale gli agricoltori percepiscono un indennizzo e vengono muniti di recinzioni elettrificate per cercare di contenere il problema.
La nutria, un roditore di origine sudamericana allevato per la sua pelliccia, ha colonizzato le rive di molti corsi d’acqua italiani ed è presente nelle zone più vicine alle rive. Tra i rapaci sono presenti il falco pellegrino, il falco pecchiaiolo, lo sparviero, il gheppio, il nibbio bruno e la poiana; nei mesi invernali sosta spesso nella zona l’airone cenerino. Nella valle e nei suoi boschi nidificano lo scricciolo, il pettirosso, il merlo, il picchio verde, la ghiandaia, il passero solitario e l’usignolo. Il gufo comune è certamente presente e ci sono segnalazioni che riguardano l’avvistamento dello splendido gufo reale.
Rettili e anfibi sono quelli più frequenti nelle regioni dell’Italia centrale: tra questi si possono ricordare la testuggine, il geco, il ramarro, il saettone, la natrice dal collare e la vipera comune. Tra gli anfibi è stata ritrovata la salamandrina dagli occhiali, molto rara per le sue particolari necessità ambientali. Nelle acque vive una fauna importante e varia che comprende il granchio di fiume, cavedano, che nella zona viene detto “squalo” a causa dell’affiorare della sua pinna caudale, il barbo il ghiozzo e la carpa, mentre vari tentativi di introdurre la trota nel fiume non hanno dato risultati a causa delle condizioni ambientali non adatte.
Nelle zone alla base delle pareti dove non sono presenti pendii di raccordo con il corso del fiume, si incontrano boschi misti chiusi ad elevata ricchezza flogistica con specie montane e sub-montane, come il carpino bianco e un sottobosco rigoglioso e ricco di felci a cui si accompagnano anche molte delle specie dell’associazione forestale precedente.
Nell’ambiente che costituisce il vero cuore del Parco, cioè lungo i corsi d’acqua affluenti del Treja e lungo il suo corso, si incontrano le piante particolari caratteristiche delle aree umide.
La vegetazione di queste zone assume aspetti diversi con il variare della larghezza e delle caratteristiche dell’alveo fluviale: nei tratti più stretti e scoscesi, dove la corrente è più veloce – è il caso dell’ambiente che circonda le Cascate di Monte Gelato – prevale l’ontano nero, accompagnato dal salice bianco, dal pioppo nero, dalla carex pendula e dall’olmo. Dove invece il corso del fiume è più ampio e meno roccioso, la presenza principale è quella del salice bianco, accompagnato da pioppo nero e carex pendula, come si può osservare nei pressi di Calcata o lungo le anse più settentrionali del corso del Treja.
La vegetazione strettamente acquatica, presente nei tratti dove le acque sono quasi ferme, comprende i canneti (canna palustre, equiseto e tipha), con alcune specie di vegetazione sommersa come il potamogeton o galleggiante e come la lenticchia d’acqua.
Se seguiamo il corso del fiume all’interno del Parco, il primo – e più famoso – punto di interesse è senz’altro costituito dalle cascate di Monte Gelato, dopo le quali il fiume si inoltra in una gola selvaggia fino alla rupe su cui sorge il paese di Mazzano Romano. Oltre questo rilievo, la valle si allarga in corrispondenza di una larga ansa del fiume e, sul lato destro, una serie di piccole alture ospitano i siti archeologici di Narce, Pizzopiede e Monte Li Santi e, poco oltre, il borgo di Calcata, con la sua inconfondibile sagoma arroccata.
Oltre la rupe di Calcata, il fiume scorre in una valle che a tratti si allarga per poi, una volta uscito dai confini più settentrionali del Parco, unirsi con altri corsi d’acqua che scorrono verso la riva destra del Tevere.
La Valle del Treja, insieme con le sue pendici, le sue colline e le sue rupi, è il risultato di una lunghissima storia geologica, profondamente influenzata dall’esistenza di alcuni grandi vulcani nella zona a nord di Roma. Le varie fasi eruttive del vulcano sabatino – comprese tra 700.000 e 40.000 anni fa – hanno ricoperto le rocce ed i terreni più antichi ed è stata la forza degli agenti atmosferici insieme al lento scorrere delle acque di superficie a scavare negli strati vulcanici quelle che sono le valli di oggi.
Il Parco Valle del Treja sorge in territorio falisco, i cui due centri principali furono Falerii a nord, l’attuale Civita Castellana, e Narce a sud.
I Falisci, attivi tra l’VIII ed il V secolo a.C., parlavano una lingua simile al latino ma erano legati da stretti rapporti politici all’Etruria. La loro economia era basata su agricoltura e allevamento. Ebbe notevole importanza l’arte ceramica e dai carmina fescennina si desume la concezione di vita gioiosa, spensieratezza e godimento dei piaceri conviviali di questo popolo. I Falisci si opposero strenuamente ai Romani nel territorio della Valle del Tevere.
I Falisci, attivi tra l’VIII ed il V secolo a.C., parlavano una lingua simile al latino ma erano legati da stretti rapporti politici all’Etruria. La loro economia era basata su agricoltura e allevamento. Ebbe notevole importanza l’arte ceramica e dai carmina fescennina si desume la concezione di vita gioiosa, spensieratezza e godimento dei piaceri conviviali di questo popolo. I Falisci si opposero strenuamente ai Romani nel territorio della Valle del Tevere.
Molti i ritrovamenti nelle tombe, tra cui:
. oggetti di uso personale in argento ed oro;
. elementi del carro;
. armi;
. corredi da banchetto in bronzo;
. corredi di vasi ornati;
. ffreschi pittorici murali.
. elementi del carro;
. armi;
. corredi da banchetto in bronzo;
. corredi di vasi ornati;
. ffreschi pittorici murali.
Nonostante fosse già in atto per Narce il periodo di decadenza, tra la fine del VI secolo e gli inizi del V secolo a.C. vennero eretti due santuari suburbani, uno dei quali, il tempio di Monte Li Santi in località Le Rote, è ancora visibile sulle rive del fiume Treja.
È sconosciuta la divinità a cui il tempio è dedicato, probabilmente una figura legata al culto delle acque; i numerosi ex-voto ritrovati permettono la datazione delle attività in quel luogo fino al II sec. a.C.
Gli studiosi ipotizzano che Narce risentì della caduta di Veio nel 396 a.C. e di quella di Falerii nel 241 a.C., a seguito della quale si spopolò. Una nuova espressione urbana in questi luoghi si ebbe in età medievale con il costituirsi dei centri di Calcata e di Mazzano Romano.












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